Cultura, società  -  Paolo Cendon  -  03/07/2022

"Diritto e rovescio", una collana che tanti ricordano

A un certo punto, verso la metà degli anni ’80, ero entrato in rapporti amichevoli con Francesco Galgano. Un uomo irrequieto, a suo modo insofferente delle ritualità accademiche, sempre in cerca di cose nuove. Aveva il dono di centrare subito, di qualsiasi cosa parlasse, anche non di sua stretta competenza, il nocciolo profondo; e buttava spesso tutto ‘’in sorridere, in ironizzare’’, altra grande qualità, era reattivo, graffiante.

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Gli ero grato perché alla fine degli anni ’70, nonostante a una cena a Trieste io avessi raccontato stranezze varie, amatoriali e poco riverenti, mi aveva telefonato il giorno dopo per propormi di trasferirmi a Bologna, Giurisprudenza, accanto a lui. Non avevo potuto accettare, la riconoscenza per l’apprezzamento però era rimasta in me.

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Nel momento di fondare con la Cedam la nuova rivista ‘’Contratto e Impresa’’, Galgano si era ricordato di me, e avevo accettato con gioia di entrare in direzione. Ci si incontrava poi abbastanza spesso, soprattutto in Emilia, o a Padova, o a casa di Giovanna Visintini, sul Garda. A una serie di convegni della rivista avevo presentato delle relazioni, un po’ esoteriche e vagabonde, che gli erano piaciute. I temi che in quegli anni tornavano sempre più spesso nella mia agenda, cioè follia, disagio e danno alla persona, non erano esattamente i suoi, questo tuttavia non ci divideva, anzi: “Siamo complementari io e te’’, ripeteva.

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  Nei primi anni ’90 Galgano aveva pensato di riversare certe sue cose, di diritto e non diritto, che lo divertivano, in un libriccino di tipo nuovo, jheringhiano come matrice: aveva già il titolo, preso dal suo maestro, Walter Bigiavi, che lui aveva sempre ammirato molto.

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  Io a mia volta – andare in cattedra significa conquistare la libertà - stavo prendendo direzioni sempre più personali, nelle cose da scrivere.  Pensavo, in particolare, a un libretto collettaneo sui Dieci Comandamenti, per il quale mi ero già riservato il capitolo ‘’Non desiderare la donna d’altri’’; in cui potevo trasfondere una nota a sentenza, già scritta, a proposito di un marito (storia vera) che pretendeva di farsi risarcire il ‘’danno da abbandono coniugale’’ dall’amante della propria moglie.

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E c’era poi un altro libriccino, che stavo scrivendo, sulle parole del diritto, parole che ben conoscevo, in salsa enigmistica, avendo confezionato con le mie mani a un certo punto (lavoro fra il certosino e il titanico) l’Indice analitico del Commentario al codice civile Utet.

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  Ci mettemmo d’accordo rapidamente, Galgano e io; la serie ‘’Diritto e rovescio’’ nacque - Giuffrè fu subito d’accordo nell’ospitarci - con facilità estrema. “Questa collana si occupa di diritto’’, si leggeva in quarta di copertina, ‘’ma ha poco o nulla a che vedere con i consueti generi della letteratura giuridica. Accoglie ciò che sia divertente, originale, non moralistico, provocatorio, che spieghi o racconti senza fare prediche …”.  Fra i molti titoli pubblicati negli anni a venire, ricorderò quelli a firma di una civilista pisana fuori dagli schemi, mia grande amica, Lina Bigliazzi Geri (in particolare, ‘’Memorie di una giurista perversa’’, del 1992).

 




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