Deboli, svantaggiati  -  Alceste Santuari  -  07/04/2022

Fondazioni ed estinzione tra poteri dell’autorità tutoria e Codice del Terzo settore – Tar Puglia 538/22

L’autorità prefettizia può estinguere la fondazione il cui patrimonio non è ritenuto sufficiente a perseguire gli scopi statutari in assenza della ricostituzione del patrimonio stesso ai sensi del Codice del Terzo settore

Nel e per l’ordinamento giuridico italiano, la fondazione è identificabile nella stabile organizzazione predisposta per la destinazione di un patrimonio ad un determinato scopo di pubblica utilità. Ne consegue che le fondazioni sono specificamente costituite per destinare ad uno scopo, stabilito dal fondatore e riconosciuto di pubblica utilità dall’ordinamento giuridico, un complesso di beni messi a disposizione dell’ente stesso.

Sotto il profilo della loro configurazione sistematico-giuridica, le fondazioni si collocano, come le associazioni, nel novero delle “istituzioni di carattere privato” regolate dall’art. 12 c.c., abrogato dall’art. 11 del d.p.r. 10-2-2000, n. 361, recante “Regolamento per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto”, ossia tra quelle organizzazioni collettive mediante le quali i privati perseguono scopi superindividuali non direttamente rivolti a realizzare un profitto.

Ai sensi dell’art. 1 del dpr. 361/2000, ai fini del riconoscimento è necessario che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo e la cui consistenza deve essere dimostrata da idonea documentazione.

Ai sensi dell’art. 25 c.c., l’Autorità tutoria è chiamata a garantire la necessaria attività di controllo e vigilanza. Per le fondazioni che operano a livello sovraregionale ovvero nazionale, l’autorità statale competente è identificata nei Prefetti, mentre per le fondazioni che esauriscono la propria attività nell’ambito territoriale di una regione l’autorità tutoria è la Regione ovvero la Provincia autonoma in cui ha sede la fondazione, in virtù della delega di cui all’art. 14 del d.p.r. n. 616 del 1977.

Avuto riguardo all’oggetto del controllo (e della vigilanza), esso si sostanzia:

  1. a) nell’esercizio del controllo e della vigilanza sulla amministrazione della fondazione;
  2. b) nella nomina o sostituzione degli amministratori, mediante l’intervento sostitutivo, in occasione di nomine di amministratori che non possano essere effettuate in base all’atto di fondazione.
  3. c) nel potere di annullare le deliberazioni della fondazione, qualora queste siano contrarie a norme imperative, all’atto di fondazione, all’ordine pubblico o al buon costume;
  4. d) nel potere di sciogliere l’organo di amministrazione della fondazione e di nominare un commissario straordinario, quando gli amministratori non agiscano in conformità allo statuto o dello scopo della fondazione o della legge;
  5. e) nell’esercizio di azioni volte al coordinamento dell’attività di più fondazioni, ovvero all’unificazione di più amministrazioni (art. 26 c.c.);
  6. f) nel potere di trasformazione della fondazione (art. 28 c.c.): quest’ultima, di fatto poco o punto praticata, deve considerarsi un vero e proprio retaggio storico, che può concretizzarsi anche “attraverso la fusione con altra analoga fondazione” (Cons. St. sez. I, 24.1.56, n. 60, CS, 1956, I, 1104).

Nel contesto sopra brevemente descritto, si colloca la sentenza del Tar Puglia, Lecce, sez. III, del 4 aprile 2022, n. 538, con la quale i giudici amministrativi hanno respinto il ricorso di una fondazione contro il provvedimento della Prefettura ha dichiarato l’estinzione della fondazione medesima. Nello specifico, la fondazione ricorrente ha contestato la legittimità del provvedimento, atteso che la fondazione dovrebbe essere estinta soltanto se lo scopo da essa perseguito sia raggiunto o sia divenuto

impossibile.

Sul punto, il Tar ha ribadito che anche la congruità patrimoniale può costituire una causa di estinzione delle fondazioni, poiché essa è alla base del riconoscimento della personalità giuridica ai sensi dell'art. 1, comma 3, D.P.R. n. 361 del 2000 e, pertanto, “costituisce presupposto dell'esistenza stessa della fondazione, atteso che, ai sensi degli artt. 27 e 28 c.c., il suo venir meno determina l'insorgere dell'alternativa tra la dichiarazione di estinzione e l'obbligatoria trasformazione della fondazione da parte dell'Autorità governativa.”

Al riguardo, si segnala che la Prefettura ha esperito un iter volto a richiedere alla fondazione di produrre documentazione a supporto della consistenza patrimoniale, conditio sine qua non affinché la fondazione possa perseguire le proprie finalità statutarie. In questo senso, la Prefettura verificava una riduzione del patrimonio rispetto alla dotazione iniziale, corrispondente ad euro 30.000,00, che indicava una impossibilità, in termini economico-contabili, della capacità di agire economicamente garantendo, sulla base del patrimonio originariamente assegnato e per il tramite dell'attività esercitata, la copertura dei costi con i propri ricavi. Di qui la correttezza dell’azione della Prefettura, che ha ravvisato nell’inadeguatezza del patrimonio della fondazione l’elemento ostativo al raggiungimento dello scopo statutario e, quindi, il venir meno di una delle condizioni necessarie per l’esistenza della Fondazione. A ciò si aggiunga anche la verifica di alcuni elementi ostativi di carattere soggettivo riguardanti uno dei componenti del Consiglio di Amministrazione.

Il Tar, pur riconoscendo che l’Autorità vigilante non ha alcun potere di indirizzo sulle decisioni adottate dalle fondazioni, né può imporre ad esse modalità organizzative diverse da quelle liberamente prescelte nello Statuto, ha confermato che le Prefetture possono intervenire per “normalizzarne la situazione” (cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 17 giugno 2003, n. 3405) esercitando i poteri di cui al citato art. 25 del Codice civile. L’Autorità tutoria non esercita pertanto una funzione di tutela nel merito o di controllo sulla mera opportunità delle determinazioni o gestionale o di indirizzo, peraltro incompatibili con l'autonomia privata delle fondazioni, quanto, piuttosto, una funzione di vigilanza, cioè di controllo di legittimità rispetto alla legge e all'atto di fondazione. Tuttavia, - ha ribadito il Tar – non trattasi di controllo “astratto e generale, ma funzionale alla salvaguardia dell'interesse interno e istituzionale dell'Ente, in rapporto a quanto giustifica la sua esistenza giuridica come tale, cioè alla preservazione del vincolo di destinazione del patrimonio allo scopo voluto dal fondatore e a suo tempo stimato meritevole di separazione di responsabilità con l'atto di riconoscimento giuridico della fondazione”.

In altri termini, il giudice amministrativo ha inteso confermare che “il venir meno del requisito essenziale della patrimonialità (conditio sine qua non per la costituzione e il mantenimento di una fondazione) impedisce il raggiungimento delle finalità istituzionali dell’Ente e costituisce legittima giustificazione” del provvedimento di estinzione della persona giuridica.

E tale decisione sarebbe avvalorata dall’inerzia dimostrata dalla fondazione circa l’obbligo di ricostituzione del patrimonio – così come segnalato dall’Autorità vigilante alla fondazione – ex art. art. 22, comma 5 del Codice del Terzo Settore. Si tratta della previsione secondo cui “a seguito della riduzione del patrimonio di oltre un terzo in conseguenza di perdite (come è avvenuto nella fattispecie dedotta in giudizio), “l'organo di amministrazione, e nel caso di sua inerzia, l'organo di controllo, ove nominato, devono senza indugio, in un'associazione, convocare l'assemblea per deliberare, ed in una fondazione deliberare la ricostituzione del patrimonio minimo oppure la trasformazione, la prosecuzione dell'attività in forma di associazione non riconosciuta, la fusione o lo scioglimento dell'ente”.

Dalla previsione di cui all’art. 22, comma 5 del d. lgs. n. 117/2017 discende che spetta all’organo di amministrazione o all’organo di controllo (che, preme ricordare, è organo obbligatorio nelle fondazioni, che non può essere confuso con l’Autorità vigilante) deliberare in merito alla ricostituzione del patrimonio affinché possa “riprendere” la sua consistenza in funzione di garanzia dell’attività svolta.

In definitiva, il Tar ha respinto che si potesse invocare la dedotta violazione dell’art. 27 c.c., a mente del quale “oltre che per le cause previste nell’atto costitutivo e nello statuto, la persona giuridica si estingue quando lo scopo è stato raggiunto o è divenuto impossibile[…]”. La Sezione ha ritenuto, infatti, che la riduzione del patrimonio della fondazione ricorrente, la quale avrebbe dovuto ovviare “senza indugio” ai sensi dell’art. 22 del Codice del Terzo settore, “impedisce di fatto il raggiungimento dello scopo cui la stessa si era prefisso.”

La sentenza de qua, da un lato, conferma l’efficacia dei controlli in capo all’Autorità vigilante/tutoria: essa non si limita a svolgere controlli meramente formali, ma, in specie attraverso la verifica dei documenti contabili, nella propria discrezionalità amministrativa, è in grado di verificare (prontamente) la consistenza patrimoniale delle fondazioni (come nel caso di specie), affinché queste ultime possano essere in grado (autonomamente) di perseguire i loro scopi statutari. Dall’altro, il Tar ha evidenziato il naturale collegamento tra Riforma del terzo settore e previsioni del Codice civile: l’Autorità tutoria, nello svolgimento delle proprie attività ricognitive e di controllo, richiama l’Ente del Terzo settore a provvedere alla ricostituzione del patrimonio, condizione questa che evita la dichiarazione di estinzione.




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