Pubblica amministrazione  -  Alceste Santuari  -  29/01/2024

I partenariati pubblico-privati e l’utilizzo dei beni pubblici – art. 71 Codice del Terzo settore e ddl S. 817

E’ noto che nel nostro Paese una larga parte del patrimonio pubblico si trovi in uno stato di precarietà e di abbandono, per fronteggiare il quale si richiedono non soltanto ingenti sforzi economici e finanziari, ma spesso progetti credibili e di pubblica utilità. Progetti, proposte e interventi che possono essere elaborati e gestiti dagli enti del terzo settore, anche in forma aggregata.

Quando ci si riferisce ai rapporti di collaborazione tra enti pubblici ed enti del terzo settore, è immediato riferirsi agli istituti giuridici contemplati negli artt. 55 e seguenti del d. lgs. n. 117/2017 (Codice del Terzo settore – CTS). Risulta, invece, meno immediato immaginare che detti rapporti cooperativi possano realizzarsi anche attraverso l’utilizzo e la valorizzazione dei beni di proprietà pubblica, che, per vero, possono trovare proprio negli enti non profit “alleati strategici”. I beni pubblici, invero, possono essere oggetto di proposte progettuali finalizzati ad imprimere agli e sugli stessi un utilizzo più efficace, più efficiente, più sostenibile ma, soprattutto, funzionale a promuovere inclusione e coesione sociale, specie a livello locale (art. 71 CTS).

In questo senso, non sorprende il dato contenuto in una recente ricerca (cfr. Spazi di comunità, Nucleo di Valutazione e Analisi per la Programmazione, Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le politiche di Coesione, Novembre 2023, p. 147), secondo cui il 90% delle esperienze di utilizzo degli “Spazi di comunità” sia gestito da enti del terzo settore.

Nella logica sussidiaria che ispira le disposizioni del Codice del Terzo settore, nel contesto sopra delineato, l’art. 71 del CTS è orientato a rafforzare il coinvolgimento degli enti non profit nella definizione delle politiche pubbliche di intervento, attraverso l’utilizzo, gestione e valorizzazione dei beni pubblici. In quest’ottica, il primo comma dell’art. 71 stabilisce che le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono ritenute compatibili con tutte le destinazioni d'uso omogenee previste dall’ordinamento giuridico, indipendentemente dalla destinazione urbanistica. In conformità alla previsione citata, le sedi e i locali che gli enti del terzo settore utilizzano devono essere unicamente finalizzati allo svolgimento delle loro attività istituzionali. Queste ultime contemplano, di regola, tra le altre, attività quali le riunioni degli organi sociali, iniziative di diffusione e conoscenza delle attività dell’ente non lucrativo, la gestione delle attività necessarie per il conseguimento degli scopi statutari. Il tenore letterale del comma richiamato esclude che nelle sedi e nei locali che possono essere messi a disposizione degli Enti del Terzo settore possano svolgersi attività di tipo produttivo.

Il secondo comma dell’art. 71, in linea con la ratio legis espressa nel primo comma, è finalizzato a regolare il rapporto giuridico che si può instaurare tra enti pubblici ed enti del terzo settore quando i primi intendono sostenere i secondi nello svolgimento delle loro attività istituzionali. Nello specifico, il comma 2 prevede che gli enti pubblici possono concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, agli enti del Terzo settore, ad eccezione delle imprese sociali, per lo svolgimento delle loro attività istituzionali. Il rapporto di comodato non può prevedere una durata superiore ai trent'anni, nel corso dei quali l’ente comodatario ha l’onere di effettuare sull'immobile, a proprie cura e spese, gli interventi di manutenzione e gli altri interventi necessari a mantenere la funzionalità dell'immobile.

A ciò si aggiunga che l’utilizzo e la gestione di beni pubblici possono risultare l’oggetto specifico di appositi percorsi di co-progettazione, i quali, presi singolarmente ovvero in combinazione con quanto previsto dall’art. 71, possono contribuire a rendere il bene pubblico maggiormente orientato ad una funzione a vocazione sociale, in specie a livello territoriale.

Nella logica sussidiaria cui è ispirato il Codice del Terzo settore, si può ritenere che i beni pubblici assumano una loro più precisa connotazione, identificabile con la nozione di beni “a destinazione pubblica”. Questo mutamento terminologico, invero, sembra più capace di interpretare l’intenzione delle pubbliche amministrazioni non tanto di privatizzare i beni pubblici, bensì di affidarne la gestione e, quindi, in molti casi, un utilizzo più efficace, efficiente e maggiormente aderente al perseguimento di finalità pubbliche, ai soggetti non lucrativi. Questi ultimi si candidano dunque ad assumersi una responsabilità pubblica nella conduzione di beni e proprietà pubbliche che possono assolvere ad importanti funzioni, quali, per esempio, la rigenerazione di spazi urbani in disuso ovvero dismessi oppure l’utilizzo di beni sottratti alla criminalità organizzata. In quest’ottica, la nozione di “destinazione pubblica” può contribuire a superare i tradizionali vincoli alla circolazione dei beni di proprietà pubblica attraverso una adeguata e coerente valorizzazione dei beni stessi, affidata a soggetti impegnati e finalizzati alla realizzazione di progetti aventi natura collettiva.

Nel contesto sopra delineato, il Codice del Terzo settore contiene una serie di disposizioni che permettono alle pubbliche amministrazioni di stabilire percorsi condivisi e coerenti valorizzazioni anche economiche dei propri beni, con ciò dimostrando che esistono procedimenti alternativi a quelli contemplati e richiesti per la gestione “privatistica” dei beni di proprietà pubblica.

Allo scopo di potenziare l’utilizzo dei beni pubblici in una logica di “funzionalizzazione” sociale, si segnala un recente ddl recante “Proposta per la promozione di progetti a impatto sociale sul territorio” (ddl S. 817 – XIX Leg.), il cui articolo 2 prevede l’istituzione di un fondo finalizzato all’erogazione di un contributo a sostegno di interventi di manutenzione e di recupero di beni pubblici, nonché la realizzazione di iniziative senza scopo di lucro funzionali al benessere individuale e collettivo.

Sia che si tratti di previsioni già invalse nell’ordinamento giuridico sia di proposte de iure condendo, emerge chiaramente con le collaborazioni pubblico-private possano rappresentare invero una leva strategica sulla quale e con la quale costruire interventi, azioni e progetti “ad impatto sociale territoriale”, finalizzati a promuovere contesti territoriali più permeabili ad accogliere nuovi presupposti etici e finalità sociali. In quest’ottica, enti non profit, imprese mutualistiche ed imprese lucrative sono chiamate ad assumersi responsabilità a vocazione sociale, integrando la loro azione nel contesto del paradigma dell’amministrazione condivisa.




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