Giustizia civile  -  Gabriele Gentilini  -  30/03/2024

Sulla causa negoziale e sugli sviluppi e dibattiti al riguardo, la non recente ma importante pronuncia della Cassazione civile 8/5/2006 n. 10490

Dopo avere ripreso alcuni pregressi passi sulla materia https://www.personaedanno.it/articolo/la-causa-concreta-del-negozio-giuridico-e-del-contratto-anche-con-riferimento-al-collegamento-negoziale cerchiamo di riprendere alcuni principi tenuto anche conto di una pronuncia tra le più significative in materia, quella della Cassazione civile 8/5/2006 n. 10490 di cui si riportano i passaggi salienti.

Di certo il concetto di causa rappresenta uno dei punti più oscuri e controversi dell’intera disciplina del contratto e risulta oggetto di un dibattito dottrinale cancora non pervenuto al termine ed affermando in generale che la causa viene generalmente identificata nella “ragione pratica” dell’operazione negoziale, l’assetto di interessi al quale le parti intendono dare vita attraverso il negozio da loro posto in essere.

Mentre la causa può essere identificata nell’assetto di interessi che i contraenti perseguono attraverso il negozio, i motivi sono le ragioni soggettive ed individuali che inducono i contraenti a porre in essere quel determinato assetto di interessi, motivi che permangono nella sfera psichica delle parti e che non vengono oggettivate all’interno del negozio o del contratto e  non influiscono sulla formazione e sulla stabilità del vincolo contrattuale a meno che entrambe le parti non abbiano posto in essere il negozio sulla base di un motivo comune illecito: nel qual caso, il negozio medesimo deve considerarsi nullo.

Dunque la causa costituisce, ai sensi dell’art. 1325 c.c., un elemento essenziale del contratto  essendo che  il diritto italiano non ammette  negozi privi di un adeguato modulo causale, salvo alcune casistiche residuali di astrazione dalla causa.

L’art. 1343 c.c. richiede che il contratto abbia una causa lecita, che non risulti in contrasto con le norme imperative, con l’ordine pubblico con il buon costume.

Da ricordare che la Cass. civ. 15-11-1967, n. 2678 ove è precisato che “il motivo di un negozio giuridico assume rilevanza quando si inserisca nella struttura negoziale come una specifica, anche se non esplicita, condizione di efficacia del negozio medesimo” ed anche la Cass. civ.  7-4-1970, n. 957 in cui si riconosce che “l’intento pratico perseguito da ciascun contraente rappresenta un motivo o impulso interno, di carattere squisitamente subiettivo ed estraneo al congegno negoziale. Esso può fornire argomento per meglio determinare il volere di ciascun contraente e ricavarne quindi un sussidio nell’interpretazione dei fatti; ma, una volta determinata e puntualizzata la comune volontà, ogni altra indagine sullo scopo concreto del negozio diventa frustranea ed ininfluente”.

L’accertamento e la valutazione  della sussistenza della causa appare più lineare se riferito a quelle operazioni negoziali che il legislatore provvede a regolare espressamente trattandosi dei  contratti tipici che hanno una causa già individuata e riconosciuta dall’ordinamento come idonea a giustificarne la realizzazione ed in cui la valutazione è svolta ex ante dal legislatore, il quale riconosce in astratto la sussistenza e la meritevolezza della funzione che caratterizza tali negozi.
Diverso il  valutare se il contratto materialmente concluso dalle parti e riconducibile ad uno dei tipi regolati dalla legge possa, nella sua concreta individualità risultare idoneo a realizzare quel determinato assetto di interessi. Su questo aspetto i commentatori   hanno distinto uno schema contrattuale astratto quale tipo contrattuale, la causa come funzione economico-sociale  e la “causa concreta” ovvero il concreto atteggiarsi dell'interesse perseguito mediante il contratto. Una cosa è, infatti, il modello astratto, altra la concreta realizzabilità del modello: sotto il primo aspetto, se si tratta di contratto tipico, non può porsi un problema di mancanza di causa.  Lo si può porre, invece, sotto il secondo aspetto.

Per altro vero altra dottrina ha optato per una causa quale funzione economico-individuale della stessa, avuto riguardo alle specifiche finalità della concreta operazione negoziale con riferimento ad ogni elemento caratterizzante ed atipico di essa. In questo modo il commento sulla causa del contratto, si è spostato da quello offerta dalla Relazione al codice, abbracciando la tesi che la causa non possa prescindere dal “concreto assetto di interessi” voluto e obiettivato dalle parti.

Per distinguere può affermarsi che la causa in astratto è la funzione tipica assegnata dal legislatore ad un determinato tipo negoziale, che appunto viene disciplinato nei suoi aspetti essenziali pertanto di funzione economico-sociale del negozio giuridico.
La causa in concreto, per contro, è l’assetto di interessi che i contraenti perseguono attraverso la materiale stipulazione di un determinato negozio, la ragione pratica che, nella realtà, induce le parti a concludere “quel” contratto, pertanto di funzione economico-individuale del negozio giuridico.

Abbiamo poi tutta la tematica connessa ai negozi cd innominati o atipici per i quali la clausola di cui all’art. 1322 c.c. ammette però la conclusione di contratti non corrispondenti ai tipi previsti dal legislatore. In tal modo e nella prassi degli affari, divengono rilevanti le negoziazioni dei c.d. contratti atipici, che i privati possono concludere allorquando gli schemi negoziali contemplati dall’ordinamento non consentono di realizzare l’assetto di interessi da questi perseguito. In essi si inserisce quel giudizio di meritevolezza e di accertamento dell’utilità sociale della stipulazione che alla fine può ricondursi alla motivata volontà di perseguire uno scopo lecito.

Analoga situazione si presenta con i contratti misti in cui si possono concludere contratti non corrispondenti ad alcuno dei tipi espressamente regolati dal legislatore. In quest’ambito, la figura del contratto misto ricorre allorquando le parti concludono un contratto atipico che deriva dalla combinazione di elementi riconducibili a diversi contratti tipici. In detti casi si ricorre a due teorie l'una della combinazione dato che ad ogni elemento del contratto misto dovrebbe applicarsi la disciplina propria del tipo contrattuale a cui tale elemento è riconducibile.
L'altra dell'assorbimento quando le discipline dei vari tipi contrattuali richiamati nel contratto misto risultano tra loro incompatibili, si applica quella del tipo che risulta prevalente nell’ambito dell’operazione, la quale finisce dunque con l’assorbire anche gli elementi riconducibili ai tipi differenti. 

In tal modo lo sviluppo può ricondursi alla funzione economico-sociale della causa che non implica in modo assoluto il perseguimento (necessario) di obiettivi e ragioni d’indole generale e superindividuale, con conseguente astrazione dagli interessi particolari del caso concreto, ma solo l’esigenza che la valutazione causale, imperniata sull’analisi della singola concreta vicenda, possa compiersi alla stregua di valori e criteri presenti nel contesto sociale ed economico.

Rimandiamo ad altri e successivi articoli maggiori precisazioni circa il collegamento negoziale visto nel https://www.personaedanno.it/articolo/la-causa-concreta-del-negozio-giuridico-e-del-contratto-anche-con-riferimento-al-collegamento-negoziale ed alla illiceità della causa.

Cassazione civile 8/5/2006 n. 10490

Merita ulteriore considerazione, invece, la questione, del pari sollevata dal ricorrente, della causa del negozio giuridico stipulato tra le parti.

E' innegabile che, intesa nel comune significato di "funzione economico sociale" del contratto - secondo un approccio ermeneutico, peraltro, di tipo "astratto" -, il negozio oggetto della presente controversia non possa legittimamente dirsi "privo di causa", corrispondendo esso, addirittura, ad uno schema legale tipico, quello disegnato dall'art. 2222 c.c..

Ma, a giudizio di questo collegio, la nozione di causa così delineata non corrisponde, nella specie (così come in via di principio generale) a quella che, dopo attenta riflessione della più recente dottrina, deve ritenersi concetto correttamente predicabile con riferimento al profilo oggettivo della struttura contrattuale.

E' opinione corrente quella secondo cui la prima elaborazione del concetto di causa (sostanzialmente estranea all'esperienza romana come elemento costitutivo del negozio, che doveva corrispondere essenzialmente a "modelli" formali) sia stata il frutto della riflessione dei giuristi d'oltralpe che, tra il 1625 ed il 1699, distinguendo per la prima volta sul piano dogmatico i contratti commutativi dalle donazioni, individueranno nell'obbligazione di una parte verso l'altra il fondamento della teoria causale (e di qui, l'origine storica della perdurante difficoltà a superare la dicotomia contratto di scambio-liberalità donativa). Gli stessirapporti tra la causa e gli altri elementi del contratto, apparentemente indiscussi nei relativi connotati di alterità, paiono, nel progressivo dipanarsi del concetto di causa negotii, talvolta sfumare in zone di confine più opache (si pensi alla relazione causa/volontà nei negozi di liberalità; a quella causa/forma ed all'avvicinamento delle due categorie concettuali verificabile nei negozi astratti; a quella causa/oggetto, con le possibili confusioni a seconda della nozione che, di entrambe le categorie giuridiche, ci si risolva di volta in volta ad adottare, oggetto del contratto essendo tanto la rappresentazione ideale di una res dedotta in obbligazione, quanto la res stessa, causa risultando la funzione dello scambio in relazione proprio a quell'oggetto).

Tutte le possibili definizioni di causa succedutesi nel tempo (che un celebre civilista degli anni '40 non esita a definire "oggetto molto vago e misterioso") hanno visto la dottrina italiana in permanente disaccordo (mentre negli altri paesi il dibattito è da tempo sopito), discorrendosi, di volta in volta, di scopo della parte o motivo ultimo (la c.d. teoria soggettiva, ormai adottata dalla moderna dottrina francese, che parla di causa come But); di teoria della controprestazione o teoria oggettiva classica (che sovrappone, del tutto incondivisibilmente, il concetto di causa del contratto con quello di causa/fonte dell'obbligazione); di funzione giuridica ovvero di funzione tipica (rispettivamente intese in guisa di sintesi degli effetti giuridici essenziali del contratto, ovvero di identificazione del tipo negoziale - che consente ad alcuni autori di predicare la sostanziale validità del negozio simulato sostenendone la presenza di una causa, intesa come "tipo" negoziale astratto, sia pur fittizio, quale una donazione, una compravendita, ecc. -); di funzione economico-sociale, infine, cara alla c.d. teoria oggettiva, formalmente accolta dal codice del 42, del tutto svincolata dagli scopi delle parti all'esito di un processo di astrazione da essi (per tacere delle teorie anticausalistiche, di derivazione tedesca, con identificazione della causa nell'oggetto o nel contenuto - Inhalt - del contratto, non indicando il codice tedesco la causa tra gli elementi costitutivi del contratto).

La definizione del codice è, in definitiva, quella di funzione economico-sociale del negozio riconosciuta rilevante dall'ordinamento ai fini di giustificare la tutela dell'autonomia privata (così, testualmente, la relazione del ministro guardasigilli); ma è noto che, da parte della più attenta dottrina, e di una assai sporadica e minoritaria giurisprudenza (Cass. Sez. 1^, 7 maggio 1998, n. 4612, in tema di Sale & lease back) Sez. 1^, 6 agosto 1997, n. 7266, in tema di patto di non concorrenza; Sez. 2^, 15 maggio 1996, n. 4503, in tema di rendita vitalizia), si discorre da tempo di una fattispecie causale "concreta", e si elabori una ermeneutica del concetto di causa che, sul presupposto della obsolescenza della matrice ideologica che configura la causa del contratto come strumento di controllo della sua utilità sociale, affonda le proprie radici in una serrata critica della teoria della predeterminazione causale del negozio (che, a tacer d'altro, non spiega come un contratto tipico possa avere causa illecita), ricostruendo tale elemento in termini di sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare (al di là del modello, anche tipico, adoperato). Sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale, si badi, e non anche della volontà delle parti. Causa, dunque, ancora iscritta nell'orbita della dimensione funzionale dell'atto, ma, questa volta, funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, seguendo un iter evolutivo del concetto di funzione economico-sociale del negozio che, muovendo dalla cristallizzazione normativa dei vari tipi contrattuali, si volga alfine a cogliere l'uso che di ciascuno di essi hanno inteso compiere i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale. "




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